E’ un’esperienza che nessuno avrebbe voluto vivere, quasi un incubo. Adesso stiamo passando la terza ondata ed è una situazione ancora difficile anche dal punto divista sociale ed economico, oltre che sanitario”. Con Francesco Noce, Presidente della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Regione Veneto, abbiamo parlato di presente e futuro, alla luce delle problematiche emerse con l’emergenza sanitaria.

 

Nei primi giorni della pandemia i medici sono stati definiti eroi. Il rischio è quello di eccedere con le lodi per poi dimenticarsi con troppa facilità il ruolo strategico della categoria?
La memoria, in questi casi, è sempre corta. Adesso, infatti, si sta verificando l’opposto. Il problema è stato molto complicato, all’inizio quando è scoppiata la pandemia non si conosceva nulla di questo virus, le notizie che arrivavano dalla Cina erano molto nebulose e si è perso molto tempo. Per questo motivo sono stati fatti anche diversi errori. Ricordo che, nei primi giorni, raccomandai subito ai medici di utilizzare le mascherine, non fare entrare nessuna persona che avesse la febbre e di stare a distanza e questo ci ha permesso in Veneto di controllare la prima ondata. La popolazione ha ben sopportato anche il lockdown, che ha permesso che il virus non si diffondesse, e ha rispettato i comportamenti da tenere. Quando diversi esperti dissero che non era obbligatorio portare la mascherina mi sorprese molto perché era evidente che fosse necessario avere una protezione delle vie aeree. A seguire, in estate c’è stato il “liberi tutti”. Poi, è arrivata la seconda ondata e ci siamo trovati in un altro momento difficile. Ora avremmo necessità di almeno una ventina di giorni di lockdown completo e nel frattempo dovremmo vaccinare la maggior parte della popolazione.

 

Che priorità dobbiamo darci sul fronte vaccini?
Le priorità vengono date soprattutto perché non ci sono dosi sufficienti. Se mettessimo in campo tutte le nostre forze si potrebbero fare centinaia e migliaia di vaccinazioni al giorno. Ci sono diversi medici già in pensione che hanno dato la loro disponibilità per somministrare i vaccini, quello che manca non sono certamente le forze. La speranza è che i vaccini arrivino in fretta. Non capisco le persone come i NoVax e tutti quelli che li sostengono, soprattutto medici e operatori sanitari che decidono di non vaccinarsi: chi non vuole vaccinarsi per motivi ideologici va sospeso per tutto il periodo della pandemia perché dal punto di vista sanitario non può stare a contatto con i pazienti. E’ fondamentale prendere dei provvedimenti.

 

Al di là della prima ondata, dove eravamo evidentemente impreparati, nei mesi a seguire c’è stato qualcosa che non ha funzionato? L’emergenza poteva essere affrontata in modo diverso?
Ci sono varie cose. Quanto accaduto nelle residenze anziani è sotto gli occhi di tutti, parecchi nonni sono deceduti e sono morti da soli senza nessun conforto. All’inizio mancavano i dispositivi di protezione, ma bisognava essere comunque più previdenti. I medici di famiglia sono stati quelli che hanno pagato il prezzo maggiore perché andavano a visitare i pazienti a casa senza mascherina e molti sono morti, quasi 400. Poi però non ha funzionato il fatto che, passata la prima ondata, è stato sottovaluto tutto, nonostante ci fossero i presupposti che si verificassero anche seconda e terza ondata. Abbiamo perso mesi inseguendo chimere, senza assumere decisioni che andavano prese in quel momento.

 

Si dibatte ancora sulle terapie domiciliari…
I medici di base soprattutto nella prima fase avevano persone malate a casa e non sapevano cosa fare perché l’unica indicazione ufficiale era quella di utilizzare tachipirina e sorveglianza cioè monitorare la situazione con il rischio però che le condizioni dei pazienti peggiorassero e che poi venissero ricoverati in ospedale. I medici curanti hanno cominciato con le cure che avevano, conoscendo i loro pazienti e adottando terapie empiriche. Una terapia diversa da seguire per curare le persone a casa potrebbe fare la differenza. Ora è necessario che Aifa riveda le linee guida.

 

Questa esperienza potrà dare un contributo utile per la riorganizzazione della medicina territoriale?
In Italia c’è sempre stata una programmazione molto difettosa e colpevole perché sono almeno dieci anni che diciamo che ci sarebbe stata una carenza di medici. Un laureato in Medicina e Chirurgia si specializza o fa un corso di medicina generale perché altrimenti è fuori dal mercato, negli altri paesi invece si specializzano ma comunque contemporaneamente lavorano. Negli anni, abbiamo formato un sacco di medici che sono andati all’estero e questa è una colpa grandissima. Poi c’è un tema organizzativo. In Veneto, e in altri parti di Italia, già alcuni anni fa si organizzavano delle medicine di gruppo integrate, dove diversi medici avevano un unico laboratorio con personale di segreteria e personale infermieristico. Un sistema che avrebbe permesso di dedicare più tempo ai pazienti, sviluppando sinergie fra i colleghi e iniziando anche a fare, ad esempio, elettrocardiogrammi a domicilio, piccole suture o altri piccoli interventi in anestesia locale, evitando così di intasare i pronto soccorso.


Perché questo tipo di modello non è ancora a regime?
In Veneto, la Corte dei Conti ha sollevato un problema riguardo ai costi del personale delle medicine di gruppo, salvo poi dire oggi che la medicina territoriale è stata sottovalutata e che sono stati fatti pochi investimenti. L’ospedale è importantissimo, ma ci vorrebbe un sistema in cui la medicina dotata fosse dotata di personale di supporto e potesse operare in vicinanza con gli ospedali di riferimento. Dovrebbe essere possibile dialogare tramite sistemi informatici attraverso tecnologie ormai molto dioffuse. Quello che è mancato, fino ad ora, è la volontà di investire.

 

Al nuovo governo, come Federazione, cosa chiedete?
Chiediamo una rivisitazione territoriale, che sia in stretto legame con l’ospedale e che si riveda il sistema informatico e che la telemedicina faccia un passo in avanti. Siamo nel 2021, la tecnologia è diventata una cosa indispensabile e si potrebbero fare tante cose senza perdere tempo. Inoltre, ci vuole la garanzia che questo sistema funzioni per tutelare la privacy delle persone. Mi auguro che questa esperienza non passi invano e che tutto ritorni come prima perché sarebbe qualcosa di incredibile.

 

Il dott. Noce sarà fra gli ospiti della prossima edizione di Innovabiomed.