Nanoparticelle fotoattive che si comportano come minuscole cellule fotovoltaiche, da iniettare nell’occhio per restituire la vista a chi soffre, ad esempio, di retinite pigmentosa o degenerazione maculare legata all’invecchiamento.
Un’idea rivoluzionaria nata dalla collaborazione tra i ricercatori del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, coordinato da Fabio Benfenati, e un team del Center for Nano Science and Technology dell’IIT di Milano, coordinato da Guglielmo Lanzani, con l’Unità operativa di Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.
Si tratta del primo modello sperimentale di protesi liquida in cui sono sospese nanoparticelle polimeriche (grandi circa 1/100 del diametro di un capello), a base di carbonio e idrogeno, che prendono il posto dei fotorecettori danneggiati. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Nature Nanotechnology.
La dott.ssa Grazia Pertile, direttrice dell’Unità operativa di oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Valpolicella, spiega: “Sulla carta è una cosa rivoluzionaria perché ha un principio di funzione e distribuzione che esula dal concetto di una protesi limitata spazialmente, ma finchè non abbiamo prove certe di funzionamento sull’uomo la prudenza è d’obbligo. La differenza è che con una protesi che si impianta la superficie coperta è limitata, mentre potendola iniettare e distribuire su tutta la retina, in teoria, si riesce a ricoprire una superficie maggiore. C’è una parte più nobile nella retina che è la macula e poter riattivare questa protesi è già un ottimo risultato, ma ristabilire la funzionalità in una superficie più ampia è molto meglio. L’interdisciplinarietà – continua Pertile – al giorno d’oggi è fondamentale, vengono richieste competenze talmente specifiche che la collaborazione tra specialisti di ambiti anche molto differenti tra loro è veramente fondamentale. Il fatto di essere riusciti a crearla con un gruppo tutto italiano è una maggiore soddisfazione. Le competenze ci sono anche in Italia e se c’è la volontà si riescono a fare dei lavori molto interessanti. Le risorse per la ricerca in Italia sono più limitate rispetto ad altri paesi però ci sono e mettersi in squadra permette anche di aver finanziamenti importanti per portare avanti la ricerca e poi c’è bisogno di persone che credano nei progetti. Innovabiomed potrebbe essere d’aiuto dandoci visibilità, ringrazio il dott. Adami per avermi offerto la possibilità di conoscere una realtà così importante”.
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