Quando è nata l’azienda e di cosa si occupa?
“E’ nata all’inizio del 2014, quando una serie di manager uscenti da varie multinazionali hanno deciso di fare un’altra esperienza, differente. Abbiamo pensato che le competenze raccolte durante gli anni nel settore di depurazione del sangue e del corpo umano potessero essere utili in settori che non erano stati toccati per cui abbiamo fondato questa start-up. Ho iniziato da solo, poi nel corso degli anni abbiamo sviluppato le nostre idee”.
Voi siete in provincia di Bologna, quindi vicini anche al Distretto Biomedicale Mirandolese.
“Noi siamo nati a Mirandola. Io e Stefano Rimondi siamo bolognesi di nascita, ma abbiamo lavorato per oltre trent’anni nel distretto biomedicale mirandolese. L’azienda è nata dentro all’incubatore del polo tecnologico di Mirandola. Da un paio d’anni, invece, ci siamo trasferiti con la sede operativa a San Giovanni in Persiceto, ma manteniamo dei legami strettissimi con Mirandola e non solo, abbiamo rapporti con tutto il mondo. Ci basiamo sulle competenze del territorio del distretto mirandolese, ma anche su quelle provenienti dalle università e dal sistema sanitario della nostra regione”.
Quanti siete in azienda e quanto è importante il lavoro di squadra?
“In questo momento abbiamo dodici dipendenti, oltre al sottoscritto e ad altri quindici collaboratori esterni che lavorano sulla parte commerciale. Il lavoro di squadra è quello di tutti i giorni, le idee vengono confrontandosi con il mondo reale e con chi effettua le cure perciò il lavoro di squadra è con tutto il sistema della salute e della sanità”.
Quanto è importante l’innovazione nei processi che connotano la vostra realtà?
“Noi siamo nati per fare innovazione. Sia io che i mei soci abbiamo lavorato per oltre trent’anni nel settore di depurazione del sangue, in particolare la dialisi che è la parte più conosciuta. Questo settore è stato trainante per l’innovazione in Italia, anche se un po’ alla volta si è trasformato in un settore in cui la cosa che vale di più è la capacità di produrre commodity a basso costo e questo sta portando il settore in mano a multinazionali che non hanno più interesse a sviluppare innovazione. In questo mondo le piccole-medio aziende italiane non hanno più spazio, ma c’è una grande conoscenza che può permettere di fare cose nuove e noi siamo nati per quello, abbiamo l’idea che sviluppare cose nuove permetta di aprire altre strade dove anche una piccola-medio azienda può avere il suo ruolo. Una piccola-medio azienda che non fa innovazione nel campo del biomedicale è un’azienda che muore”.
Esempi di prodotti innovativi già sul mercato?
“La nostra azienda è nata con l’idea di base di utilizzare sistemi di aferesi terapeutica in campi nuovi, in particolare lavoriamo nel settore del trapianto nel quale abbiamo sviluppato sistemi per la perafusione ex vivo degli organi dedicati al trapianto. Questo significa che un organo, prima di essere trapiantato nel ricevente, viene mantenuto vivo facendogli passare all’interno liquidi particolari che lo aiutano a mimare la sua funzione anche fuori dall’organismo e questo permette di trapiantare organi che con i vecchi sistemi non si sarebbero potuti trapiantare. Stiamo lavorando da cinque anni su questo sistema, abbiamo terminato la certificazione in aprile”.
La distribuzione di questi prodotti come avviene?
“Noi abbiamo già cominciato la commercializzazione di prodotti con una nostra rete distributiva in Italia. Per quanto riguarda il mercato internazionale, abbiamo aperto collaborazioni a tutto tondo, in particolare con un’azienda svizzera e una americana, che ci porterà nei prossimi mesi alla realizzazione di un network per la distribuzione della trasfusione di organi in tutto il mondo”.
Quanto conta comunicare correttamente l’innovazione?
“L’innovazione deve essere percepita “come innovazione”. Deve essere chiaro per chi ci guarda dall’esterno chi siamo e cosa facciamo perché se non viene capito il valore della nostra attività non viene percepito nemmeno quello del nostro prodotto. L’attenzione alla comunicazione finalizzata è una cosa estremamente importante. Sono convinto che il marketing di un mondo di innovatori, come il nostro, debba essere fatto da persone che hanno da una parte le competenze tecnico-scientifiche per sapere quello che dicono e dall’altra devono avere competenze di marketing vere per dare un messaggio chiaro e percepibile immediatamente”.
State collaborando con università o altri enti di formazione?
“Noi lavoriamo con i network di competenze di università, ospedali ed enti di ricerca. Lavoriamo con le università di Bologna, Modena, Milano, di tutto il mondo italiano e con istituti di ricerca prestigiosi. Il nostro referente per tutto il progetto del trapianto è il Prof. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano e Bergamo. Queste sono esperienze consolidate che sono il vero valore aggiunto, ovvero la possibilità e la capacità di confrontarsi con persone che ne sanno più di noi e trarre le idee da trasformare in prodotti e cose vendibili”.
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